Il 23 febbraio 2020 è stato emanato il Dpcm con le disposizioni atte a promuovere il cosiddetto Smart Working o lavoro agile, tra le aziende ed i lavoratori italiani, come conseguenza dell’emergenza sanitaria in corso.
Sono anni che questa metodologia di lavoro viene discussa a livello nazionale ed internazionale, senza aver ottenuto un grande consenso nel nostro Paese. E’ rimasta per anni la bandiera di startup innovative e non è mai stata presa sul serio dalle grandi aziende e dalle PMI italiane.
Insomma, si fa presto a dire Smart Working!
La definizione è contenuta nella Legge n. 81/2017, che pone l'accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: laptop, tablet e smartphone).
Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali e verte su un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.
Prima dell’arrivo del Covid19, lo smart working era stato introdotto nel nostro ordinamento con una norma che prevedeva la possibilità di determinare che una parte della prestazione di lavoro potesse essere svolta al di fuori di quello che, contrattualmente, era stato identificato come “luogo” o “sede” di lavoro, normalmente coincidente con l’ufficio. Insomma era una cosa relegata ai venerdì lavorativi, concessa per lo più a dipendenti che abitavano lontano dal luogo di lavoro.
In queste ultime settimane sono state emanate tutta una serie di semplificazioni per le aziende che vogliono attivare il lavoro agile, visto il perdurare della crisi sanitaria e, dall’altra parte tutta una serie di raccomandazioni per attivarne il maggior numero possibile.
Abbiamo riscontrato quattro problematiche sostanziali che ostacolano l’applicazione dello smart working:
1. Una carenza infrastrutturale, diffusa in diverse aree del Paese ed in modo disomogeneo, dovuta alla carente disponibilità di collegamenti veloci ad internet: in molte zone ci sono rilevanti difficoltà ad avere una connessione stabile con l’Adsl, figuriamoci con la fibra ottica. Uno degli strumenti principe dello smart working è la possibilità di realizzare videochiamate o partecipare a videoconferenze: senza una connessione di buona qualità ciò è difficilmente realizzabile.
2. Un problema di mentalità da sempre presente in Italia, dove troppo spesso non si ragiona per obiettivi: lo smart working efficace deve prevedere che il lavoratore raggiunga gli obiettivi concordati con il datore di lavoro – sottolineo concordati - indipendentemente dal tempo impiegato. Si va verso un’obbligazione di risultato e non più di mezzi: non importa il tempo impiegato per raggiungere un risultato, ma solo il conseguimento di esso. Naturalmente tutto ciò non si può che basare su un concetto fondamentale: la fiducia e la buona fede tra le parti. Da un lato i risultati da raggiungere devono essere ragionevoli e consoni al ruolo, dall’altro dev’essere chiaro che i risultati concordati saranno effettivamente da conseguire: senza una seria e reale condivisione degli obiettivi lo smart working non è lo strumento giusto né per l’azienda, né per i lavoratori.
3. Cyber security: smart working non vuol dire mettere a repentaglio la sicurezza della propria infrastruttura informatica, consentendo l’utilizzo di hardware e software non sicuri. Esistono metodologie di connessione sicure ed a bassissimo costo che proteggono in modo adeguato i dati aziendali, ma tutto ciò dev’essere comunque realizzato da specialisti del settore: in questo caso, il fai da te, rischia di essere peggiorativo rispetto al non far nulla.
4. Terminata l’emergenza si renderà necessaria un’ulteriore intervento legislativo per coprire quelle zone d’ombra residuali in materia, generate dal tumultuoso avanzare degli eventi. Al termine di questo momento molto drammatico per tutti noi, ritengo che sarà importante ragionare seriamente sullo smart working e sulla sua possibilità di sopravvivere a questa emergenza.
Lo dimostrano i dati di una recente ricerca Doxa che riporta che solo il 19% dei lavoratori italiani ha utilizzato nel mese di marzo 2020 questa metodologia di lavoro.
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